Nuovi loci di rischio associati alla cannabis e predisposizione alla schizofrenia

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 15 giugno 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La forza del business che ha autorizzato le rivendite di cannabis e continua a moltiplicarle nel nostro territorio nazionale agisce a danno della salute pubblica, aggiungendo un nuovo fardello alla fatica di Sisifo[1] di quanti in questi anni si sono impegnati a combattere i danni da fumo, alcool, inquinanti ambientali ed altre evitabilissime cause di malattie e di morte.

Dieci anni fa, quando alle prove dei danni da assunzione cronica di hashish e marijuana come sostanze psicotrope d’abuso si sono aggiunte quelle relative al rischio oncogeno, la nostra società scientifica ha offerto gratuitamente il suo contributo per un aggiornamento degli insegnanti, e per fare formazione e informazione scolastica su tutte le sostanze psicotrope d’abuso[2]; altre società scientifiche si dichiararono disposte a fare altrettanto. Non abbiamo mai ricevuto risposta.

Negli anni si è assistito alla costituzione di associazioni per la promozione dell’uso dei derivati della cannabis, e di veri e propri partiti politici per la liberalizzazione o la legalizzazione nella massima parte dei paesi del mondo occidentale, alla comparsa della scritta “cannabis” con uno stile standard sui muri delle città dei cinque continenti, sugli indumenti di innumerevoli linee di abbigliamento e sulle copertine plastificate di costosissime riviste patinate dedicate al vegetale[3] e diffuse dall’Australia alla Russia, dalle Americhe al Nord Europa, dal Bacino del Mediterraneo all’Africa. Le organizzazioni politiche e ideologiche, che agivano per conto di gruppi di pressione internazionali, promuovevano frequentemente convegni su temi che andavano dalla propaganda delle politiche antiproibizioniste alla farmacognosia della canapa indiana, dalle osservazioni di medici sui possibili usi terapeutici del vegetale all’aneddotica di guarigioni miracolose. A questi convegni partecipavano sempre anche persone in buona fede, convinte di contribuire alla divulgazione della conoscenza delle proprietà salutari di un vegetale, indipendentemente dal suo agire come sostanza psicotropa sul sistema a ricompensa cerebrale inducendo sensazioni di piacere e rischio di dipendenza. A chi scrive è capitato spesso di elencare a costoro tutte le virtù conosciute, da quelle anticancro a quelle vasculoprotettive, di broccoli, cavoli, grano saraceno, e numerose altre specie di ortaggi, cereali o frutta, ottenendo spesso la presa di coscienza da parte dell’interlocutore. In quel periodo, militanti politici, propagandisti e consumatori in grado di accedere alle ribalte mediatiche e usare ogni altro mezzo di comunicazione di massa, diffondevano e ripetevano con ostinazione martellante, come una nozione certa, che, a differenza del fumo di sigaretta cancerogeno e nocivo in molti modi diversi, il fumo dei derivati della cannabis fosse assolutamente scevro da rischi. Era falso. Semplicemente, per molto tempo sono mancati studi specifici che indagassero la tossicità alle dosi del consumo. Qui di seguito si riporta un estratto di un nostro articolo di recensione e commento sulle prime prove scientifiche di tali rischi:

“È stato accertato da tempo che l’uso abituale di marijuana, hashish e ogni altro derivato della cannabis causa effetti di lungo termine sulla cognizione e sulla salute mentale, ma solo negli anni recenti è stato possibile documentare lesioni macroscopiche delle strutture cerebrali dovute all’assunzione dei prodotti del vegetale. In particolare, vogliamo ricordare il lavoro di Danilo Arnone e colleghi del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, proposto alla discussione lo scorso anno dal presidente di BM&L[4].

In quello studio fu adoperata una procedura di risonanza magnetica nucleare (MRI, da magnetic resonance imaging) sensibile all’integrità del tessuto cerebrale, combinata con una tecnica di trattografia per il mappaggio delle connessioni della sostanza bianca, al fine di indagare le modificazioni nella struttura del corpo calloso, ossia il massimo sistema associativo che collega i due emisferi cerebrali. Mediante DTI (diffusion tensor imaging) in 11 assuntori abituali di cannabis che avevano cominciato a farne uso da adolescenti, fu evidenziata un’alterazione dell’integrità dei tratti di sostanza bianca[5] e della loro coesione[6]. Nel confronto con i soggetti sani di controllo, appariva drammatica la differenza nelle aree anteriori corrispondenti al dominio del corpo calloso che collega la corteccia prefrontale dei due antimeri. Ricordiamo che questa porzione di corteccia cerebrale ha la massima importanza per la cognizione umana, in quanto sede di reti neuroniche che sono implicate nella pianificazione, nella progettazione, nel prendere decisioni e nella memoria di lavoro che sostiene le astrazioni, la comunicazione e il comportamento adattato alle circostanze. Da notare, che i rilievi dei ricercatori di Oxford erano coerenti con gli esiti di precedenti studi che avevano trovato pattern neurofunzionali alterati nei fumatori di prodotti della Cannabis sativa.

Ora, uno studio condotto presso il Department of Cancer Studies and Molecular Medicine della University of Leicester dal Cancer Biomarkers and Prevention Group, dimostra che il fumo dei derivati della cannabis ha una capacità potenziale di indurre cancerogenesi superiore a quella del fumo di tabacco, rendendo così conto anche del dato di ridotta sopravvivenza media riscontrata negli assuntori di lunga durata -soprattutto per inalazione del fumo- delle miscele vegetali contenenti il Δ9-tetraidrocannabinoide (THC) e gli altri composti con minore effetto psicotropo[7].

Sono numerosissimi gli studi condotti negli ultimi decenni sulla cancerogenicità del fumo di tabacco, nel quale 69[8] degli oltre 4.700 composti[9] presenti sono classificati come carcinogeni (benzene, benzo[a]pirene, metil-nitrosammino-piridil-butanone, ecc.), mentre la ricerca sulla potenzialità oncogena e sui danni al DNA causati dagli spinelli è solo agli inizi. È perciò rilevante, come ha osservato Singh, uno degli autori della ricerca, l’aver accertato che il fumo dei derivati della cannabis contenga il 50% in più di sostanze cancerogene di quello prodotto dalla combustione del tabacco.

L’acetaldeide è un composto genotossico ubiquo classificato fra i carcinogeni umani, in grado di reagire con il DNA formando una base di Schiff, ossia l’N(2)-etilidene-2’-deossiguanosina (N(2)-etilidene-dG). I ricercatori hanno valutato la potenziale capacità di danneggiare il DNA da parte del fumo di sigarette di cannabis (i cosiddetti “spinelli”), mediante la determinazione delle molecole di (N(2)-etilidene-dG) dal derivato chimicamente stabile N2-etil-dG.

L’esito della sperimentazione ha dato una chiara conferma della potenziale capacità del fumo di cannabis di danneggiare il DNA, implicando che le sostanze inalate costituiscono un grave rischio per la salute umana, potendo dare avvio allo sviluppo di un cancro”[10].

Un altro argomento a favore della liberalizzazione della vendita dei derivati della cannabis, rappresentato dalla costituzione di innumerevoli associazioni in tutto il mondo, era l’impiego terapeutico della sostanza. L’invadenza impressionante di questi gruppi di pressione, che  spacciavano la loro attività per preoccupazione per la salute pubblica, era evidentemente strumentale, sia perché ottenuta la legalizzazione sono scomparsi, sia perché il THC era già stato approvato come farmaco dall’FDA con il nome di dronabinolo e, dunque, se fosse stato necessario ricorrere al suo uso i medici lo avrebbero potuto fare, senza la prescrizione anacronistica di un corpo vegetale intero contenete anche innumerevoli composti dall’attività indesiderata o sconosciuta.

Ora, che coloro che lucrano sui “cannabis store” l’hanno avuta vinta su quanti si occupano e si preoccupano della salute, si è creata una condizione simile a quella che per decenni la ricerca biomedica ha dovuto affrontare nel rapporto con le multinazionali del tabacco: una guerra senza quartiere scatenata da questi potentati economici, che in ogni modo hanno cercato di occultare, discreditare e contrastare i risultati sperimentali che suggerivano il saggio abbandono del vizio.

Intanto, la ricerca genetica continua ad esplorare i rapporti esistenti tra consumo di derivati della cannabis, profili genetici particolari e tratti genetici associati ad altri caratteri o patologie note. Uno studio di straordinaria importanza per metodo e dimensioni del campione pubblicato lo scorso anno su Nature Neuroscience è stato ripubblicato il 5 giugno di quest’anno, con correzioni apportate dagli stessi autori, che hanno subito pressioni per modifiche formali nella terminologia adottata. È necessario precisare che nessun errore è stato rilevato nella ricerca e che i referees di una delle più autorevoli, se non la più autorevole rivista neuroscientifica del mondo, avevano approvato e accettato il testo che ha adottato il lessico corrente in genetica e statistica.

In particolare, gli autori spiegano che in molti casi in cui ricorreva la parola “schizophrenia”, il vocabolo è stato sostituito con la locuzione “liabilty to schizophrenia” o “schizophrenia risk”.

Se, per quanto ci riguarda, riteniamo positiva ogni modificazione migliorativa che, attraverso formule di prudenza espressiva, possa rendere con maggiore precisione formale il senso dei risultati sperimentali, allo stesso tempo non possiamo esimerci dall’osservare che non si comprende perché le forme del gergo statistico che vanno bene per l’epidemiologia dell’influenza, per la genetica del cancro e l’eziologia delle malattie neurodegenerative non siano più sufficienti se si tratta di cannabis.

La significatività degli studi genetici estesi all’intero genoma (GWAS), quando non si tratti di campioni di poche decine o qualche centinaio di partecipanti, è sempre assicurata; se si va oltre le decine di migliaia, allora i risultati assumono un’importanza di interesse generale. In questo caso, ossia nel caso del più grande studio di associazione genica finora condotto, i partecipanti sono stati 184.765, con un valore di significatività che non può non interessare tutta la comunità scientifica e medica internazionale.

Qui di seguito si recensisce questo straordinario studio che ha raccolto il lavoro di numerosi istituti universitari internazionali e di consorzi quali: International Cannabis Consortium, The Substance Use Disorders Working Group of the Psychiatric Genomics Consortium, 23 andMe Research Team.

(Pasman J. A., et al. GWAS of a lifetime cannabis use reveals new risk loci, genetic overlap with psychiatric traits, and a causal effect of schizophrenia liability. Nature Neuroscience 21, 1161-1170, 2018 corrected 5th June 2019).

Degli istituti di provenienza degli autori si citano i seguenti: Amsterdam UMC, University of Amsterdam, Department of Psychiatry, Amsterdam (Paesi Bassi); Genetic Epidemiology Statistical Genetics and Translational Neurogenomics Laboratories, QIMR Berghofer Medical Research Institute, Brisbane, Queensland (Australia); Department of Psychiatry, University of California San Diego, La Jolla, California (USA); MRC IEU, University of Bristol, Bristol (Regno Unito); Department of Psychiatry and Behavioral Neuroscience, University of Chicago, Chicago, Illinois (USA); Vanderbilt Genetics Institute, Division of Genetic Medicine, Department of Medicine, Vanderbilt University, Nashville, TN (USA); Departments of Psychology and Psychiatry, University of Toronto, Toronto, Ontario (Canada).

Sulla base degli studi genetici degli ultimi decenni l’uso dei derivati della cannabis è considerato un tratto ereditabile che è stato associato ad esiti negativi per la salute.

Joëlle A. Pasman e colleghi hanno identificato, in 6 diverse regioni del DNA, 8 polimorfismi di singoli nucleotidi indipendenti e significativi in rapporto all’intero genoma. Tutte le varianti genetiche misurate combinate spiegavano l’11% della varianza. I test basati sui geni hanno rivelato 35 geni significativi in 16 regioni, e l’analisi S-PrediXcan ha mostrato che 21 geni avevano livelli diversi di espressione in coloro che facevano uso di cannabis rispetto ai controlli che non ne assumevano. Confrontando tutte le analisi che sono state condotte, l’associazione più forte è stata riscontrata in CADM2, che si è rivelato in stretto rapporto con l’uso di sostanze psicotrope e tendenza patologica ad affrontare gravi rischi, come per difetto di consapevolezza, responsabilità, comprensione o timore del pericolo.

In questo campione di 184.765 persone sono poi state indagate correlazioni genetiche con l’assunzione abituale di sostanze psicotrope d’abuso e con tratti specificamente associati a condizioni psichiche che riflettono alterazioni della salute mentale, quali il fumo di sigaretta – con possibilità di dipendenza da nicotina – l’assunzione di alcool – con possibilità di etilismo cronico – la psicosi schizofrenica e i disturbi di personalità caratterizzati dalla tendenza immotivata a esporsi a pericoli. Su 25 di questi caratteri testati, per ben 14 sono state trovate associazioni altamente significative. L’analisi di randomizzazione mendeliana ha mostrato evidenza, negli assuntori di cannabis, per un’influenza positiva di tipo causale sul rischio di schizofrenia.

Nel complesso – affermano Pasman e colleghi – i dati ottenuti forniscono nuove conoscenze causali sull’uso della cannabis e sui rapporti fra questo comportamento e la salute mentale.

Concludendo, senza entrare nelle questioni relative alle convenzioni semantiche del gergo statistico adoperato in questi studi, la significatività dell’associazione con la psicosi schizofrenica come la si intende oggi non può essere messa in dubbio, anche se per una migliore comprensione è necessario essere aggiornati sulla genetica delle psicosi. Infatti, se si eccettua ZNF804A, gli studi GWAS non hanno identificato alleli di rischio comuni, perché l’analisi di un SNP per volta non consente di rivelare le interazioni gene-gene degli alleli comuni dai quali dipende una parte del rischio; inoltre, rare mutazioni ad alta penetranza hanno mostrato in vari studi uno stretto rapporto col rischio ereditabile di schizofrenia[11].

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-15 giugno 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Nel mito greco Sisifo, figlio di Eolo ed Enarete e fondatore della città di Corinto, fu condannato nel Tartaro a spingere col petto su per il pendio di un erto colle un enorme masso che, quando giungeva in cima, rotolava giù, costringendolo a ricominciare daccapo, all’infinito.

[2] Note e Notizie 05-09-09 La cannabis è cancerogena oltre che lesiva per il cervello, si veda la nota n°5 a piede di pagina.

[3] In quegli anni, la rivista il “Disabile”, molto apprezzata dagli operatori del campo riabilitativo, ha dovuto sospendere le pubblicazioni per mancanza di fondi. Sarebbe bastata la spesa necessaria per una sola pagina di una di quelle riviste per continuare a fornire strumenti di aggiornamento a medici, terapisti della riabilitazione e psicologi in Italia.

[4] Arnone D., et al. Corpus callosum damage in heavy marijuana use: preliminary evidence from diffusion tensor tractography and tract-based spatial statistics. Neuroimage 41, 1067-1074, 2008.

[5] In base alla MD, ossia mean diffusivity.

[6] Mediante FA, ovvero fractional anisotropy.

[7] Singh R., et al. Evaluation of the DNA damaging potential of cannabis cigarette smoke by the determination of acetaldehyde derived N2-ethyl-2’-deoxyguanosine adducts. Chem Res. Toxicol. 22 (6), 1181-1188, 2009.

[8] Di questi, 7 appartengono alla categoria 1 della classificazione IARC (OMS), 11 alla categoria 2A e 49 alla categoria 2B.

[9] Il numero si riferisce ai composti identificati, quelli isolati nel loro complesso superano i 12.000. Qui si fa riferimento solo ai 69 composti che rispondono ai criteri per la definizione dei carcinogeni, ma il numero complessivo di agenti tossici o potenzialmente dannosi contenuti nel mainstream smoke (il fumo attivo) e nel sidestream smoke (che costituisce il fumo passivo e include la parte che direttamente origina dalla brace della sigaretta e quella espirata nell’ambiente dai fumatori) è molto più alto.

[10] Note e Notizie 05-09-09 La cannabis è cancerogena oltre che lesiva per il cervello.

[11] Joseph T. Coyle, It’s complicated: the genetics of schizophrenia and related serious mental illnesses. In “Basic Neurochemistry” (Brady, Siegel, Albers, Price), p. 1009, Academic Press Elsevier 2012.